E' si ragazzi miei, questa cosa si sta rivelando davvero niente male!
All'ultima lezione (tralasciando il fatto che ci ho piantato una delle figure più di merda, passatemi il termine perché non ne potrei usare altri, che siamo mai state concepite) ho avuto la più grande soddisfazione che una scrittrice dilettante come me potrebbe avere: ho visto letto e direi anche interpretato, un mio testo! Wow!!!
bella roba, ti ecciti con poco, direte voi...ma se non avete mai scritto nulla non potete proprio capire che emozione dia sentire una propria creatura uscire dalla labbra di un'altra persona. Se poi il lettore in questione è un mostro di attore (onore al merito, rimango sconvolta dalla versatilità con cui riesce a passare da un ruolo all'altro e ad adattarsi perfettamente a tutti...altra cose che per un'attrice, come al solito dilettante, come me è una sorta di utopia...) la cosa dà un'emozione da tremarella.
E questo è il primo punto: dettaglio molto importante perché mi ha fatto pensare che dovrei ricominciare a mettere su carta e in modo serio tutte le idee che mi frullano per la testa.
La seconda notizia è che in questo corso cerchiamo di imparare un po' di sana fonetica (non dizione ma fonetica, altra scoperta) cioè il modo esatto di pronunciare
le vocali e le consonanti.
Prima cosa è stata scoprire che in fonetica esistono 7 vocali (ci sono infatti la é e la è oltre a una doppia o sempre con i due accenti diversi).
La seconda è stata che esistono due tipi di zeta: una zeta aspra che è il risultato di t+s (che per intenderci è quella di "piazza") e una zeta dolce che viene fuori mischiando d+s (zucchero, zio).
Premesso questo, la situazione che mi si è presentata tornado a casa è stato il confronto fonetica-mia nonna. Ora, mia nonna è di origini ferraresi. La zeta aspra lei non sa nemmeno cosa sia: non so se avete mai sentito un ferrarese dire piazza ma quello che viene fuori è più o meno questo: "piassssssssa". Quando ho cercato di spiegarle il suo fonetico errore (come diceva Einstein "non si ha veramente capito una cosa finché non si è in grado di spiegarlo alla propria nonna) la sua reazione è stata quella di mollarmi il tipico scappellotto da nonna: quella mezza sberletta con annesso pizzicotto sulla guancia che ti lascia un indelebile bollo rosso a vita. E il suo commento è stato "ma va là bela...".
E va beh...forse questa era complessa.
Secondo tentativo: Perché. Ora non so come lo diciate voi, ma la mia e di perché è aperta. Errore madornale. La e finale di perché è chiusissima. Ora, il professore ci ha detto che mano mano riceviamo le varie nozioni di fonetica noi dobbiamo metterle in pratica. Così, da un paio di giorni, malgrado la fatica abnorme che mi costa, cerco di pronunciare perché con la e chiusa. Personalmente, senza offesa per nessuno, mi fa schifo. Ma a mia nonna di più. Mi ha detto che sembro una "donnetta di piazza" con quella e chiusa (tradotto vorrebbe dire una comare impicciona).
Fallimento totale.
Ragionavo quindi sul fatto che il modo con cui pronunciamo determinate parole ha un'importanza incredibile. Nel senso che una semplice vocale aperta o chiusa a volte fa nascere nella testa degli altri un'idea, un preconcetto, che magari nulla ha a che fare con la persona in questione.
E' una cosa drammatica.
Per questo, ora più che mai, voglio proprio impararla sta benedetta fonetica. Almeno, nel caso qualcuno mi dia della "donnetta di piazza", potrò sempre ripararmi dietro la scusa dell'italiano perfetto.
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