Per lucem et tenebram transeunt vitae nostrae mortalis.

domenica 6 febbraio 2011

volontariamente...

Io sono, da tre anni a questa parte, una VdS.

I VdS non sono un corpo speciale della marina americana né una setta segreta. E l'acronimo non sta nemmeno per Varani da Spiaggia, come una volta azzardò mia cugina.

I VdS i sono i Volontari del Soccorso e sono una (la più importante a mio avviso) costola della Croce Rossa. Il nostro corpo è nato nel 1866 quando ancora ci chiamavamo SV, cioè soccorritori volontari. Ad oggi siamo quasi 95.000.

Perché vi racconto tutto questo? Perché malgrado io svolga un certo numero di attività, di questa sono particolarmente fiera. Lasciamo perdere tutti i bei discorsi che ci si aspetta e che per me hanno si importanza, ma relativa. Quindi non parlerò dell'Abruzzo (io c'ero), né di Haiti né dell'Egitto. E non mi dilungherò nemmeno sui principi fondanti della nostra associazione che racchiudono ciò che il volontariato dovrebbe essere, in sette parole. Perché qui voglio parlare della gente.

Io amo profondamente tutto quello che faccio in Croce Rossa e vedo che tutti i volontari che ho conosciuto finora provano lo stesso identico sentimento. E' qualcosa che non posso stare a spiegare a tutti i maxi commissari che stanno ai vertici e che questa attività la fanno di mestiere. Non capirebbero.

Il corso per diventare volontari del soccorso dura quasi due anni (è praticamente una laurea breve) e occorre superare 3 esami scritti, orali e pratici prima di fregiarsi del titolo. E' dura prendersi su la sera per andare ad ascoltare un medico che ti parla del pancreas.
Non siamo pagati (noi). Non ci viene in cambio nulla di materiale da ciò che facciamo. Non per questo siamo da considerare angeli del cielo: brontoliamo quando ci dicono che due anni di corso non bastano per il 118 che vuole una certificazione in più, un altro esame; tiriamo cancheri quando la notte il telefono squilla e bisogna andare a raccogliere un motociclista spalmato sull'asfalto; a volte ci scappa uno scatto d'ira contro il passante che vuole assistere a tutti i costi ad una rianimazione cardiopolmonare e alziamo gli occhi al cielo quando l'ennesima vecchina si lamenta di ogni cosa, mentre stiamo cercando di convincere il suo femore a non andare a spasso.

Non lo facciamo per professione. Non siamo medici (anche se molto spesso la gente pensa il contrario). Siamo studenti, impiegati delle poste, baristi, operai, avvocati, carabinieri, pompieri, casalinghe, cuochi, pensionati...Ma è proprio questa la cosa bella, il succo del tutto: noi facciamo quel che facciamo perché ci piace da matti farlo.
E' per questo che il corso di 120 ore chiesto dal 118 lo facciamo comunque e passiamo pomeriggi interi a tentare di riportare in vita un manichino. E' per questo che quando la notte il telefono squilla scattiamo in piedi, ci infiliamo gli scarponi e saliamo in ambulanza (e per lo stesso motivo dormiamo su una branda invece che a casa sotto il piumone). E' per questo che non defibrilliamo il passante curioso e gli chiediamo invece di spostarsi. Ed è per questo che quando salutiamo la vecchina con il femore a pezzi le facciamo comunque un sorriso.
Non siamo pagati. Non con soldi. Però la gente ci sorride quando ci vede per strada. I bimbi ci dicono che da grandi vorrebbero fare a anche loro i volontari (cosa che ti fa sentire una specie di eroe).
Vi giuro che non ho mai visto espressioni più belle di quella che ho incrociato sul viso dell'anziana signora che, dopo il terremoto e senza più un posto dove stare, ci ringraziava per una comodino fatto con le cassette della frutta. O di quella della mamma che ha visto il suo bimbo riprendersi. O di quella del ragazzo con entrambe le gambe spaccate quando ha sentito qualcuno che gli parlava e gli stava accanto mentre si andava in ospedale. O perfino quella dell'anziano signore colpito da infarto che aveva qualcuno a cui stringere la mano.
Perché noi non siamo medici e a volte un gesto gentile, una parola di conforto, un abbraccio valgono più di mille medicine.
Non racconto tutto questo per fare la scenetta ed essere sdolcinata. Lo racconto perché qui voglio ringraziare tutte quelle persone che, come me, danno un poco della loro esistenza agli altri. E lo fanno col cuore.

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