E’ una strana giornata di febbraio a Ferrara. Dico strana perché dopo parecchi giorni grigi e uggiosi il sole ha finalmente deciso di farsi rivedere e la città ha cambiato la sua faccia, risvegliandosi: la luce illumina le vie infilandosi in ogni fessura lasciata libera da cemento e mattoni e crea infiniti giochi sulle facciate dei palazzi. Tuttavia, malgrado il sole ritrovato, soffia un vento freddo che fa di tutto per abbassare la temperatura e ricordarmi che siamo ancora in pieno inverno, a dispetto del cielo limpido e di un azzurro intenso.
Ormai è quasi un’ora che mi aggiro per la città alla ricerca di qualcuno che attiri la mia attenzione, ma nessuno si è ancora rivelato sufficientemente interessante da meritare un pedinamento. Dopo aver percorso quasi tutte le vie, i vicoli e le piazze possibili, cercando di osservare tutte le persone che mi capitavano a tiro, inizio ad essere un po’ sfiduciata sulla possibilità di portare a termine il mio compito. Inconsciamente i miei passi mi riportano verso la facoltà, ma deviano prima di arrivarci: entro in parco Massari decisa a trovare una panchina per riposarmi un po’. Nel grande giardino l’aria odora di foglie marce e umidità, il vento dà un po’ di tregua e il sole accende il poco di verde che riesce a trovare, donando un po’ di vita anche alle piante spoglie. E’ in quel trionfo di marroni, grigi e verdi che il mio sguardo viene inaspettatamente attirato da una macchia di colore. A pochi metri da me una signora sta passeggiando con il naso all’insù. Mi dà le spalle e, prima che sparisca dietro un cespuglio, riesco a intravedere soltanto una folta massa di riccioli rossi e un insieme di abiti a dir poco singolari. Ho trovato chi fa per me.
La seguo immediatamente e riesco a raggiungerla dopo alcuni passi. Non cammina sui sentieri tracciati ma in mezzo all’erba, incurante del fango e della brina rimasta nei punti ancora all’ombra. Cammina lentamente con i piedi tenuti larghi, quasi dondolando, simile ad una papera. Ogni tanto si ferma assorta guardandosi attorno, con le mani sui fianchi, e fa un grosso sospiro. Ogni due o tre soste, sfodera dalla borsa di stoffa che porta a tracolla una macchina fotografica e fa due o tre scatti; controlla le foto e ricomincia a camminare. Incuriosita, voglio a tutti i costi vederla in viso. Cambio sentiero e con una corsetta le giro attorno e riesco a sbucarle quasi di fronte. Anche a distanza noto che ha forme slanciate e longilinee e intuisco i suoi tratti dolci, quasi da bambina. Non deve avere più di cinquant’anni, penso. Ha una pelle chiarissima, il viso magro e ovale, che quasi sparisce tra la massa dei riccioli. Studio il suo abbigliamento con maggiore attenzione: indossa un maglioncino arancione coperto quasi completamente da una mantellina marrone scuro, arricchita sul davanti da una serie di fiori e farfalle di lana cotta. Ai piedi indossa un paio di stivali di cuoio color cioccolato seminascosti da una lunga gonna blu, che le arriva alle caviglie, bordata con le stesse farfalle del corto mantello. Il suo abbigliamento mi fa subito pensare a qualcosa fatto a mano, artigianale. La seguo per tutto il parco mentre lei continua a scattare foto. Dopo una mezz’ora buona esce dal parco, gira l’angolo e si avvia per la strada che porta in Certosa. Supera il cancello del cimitero ed entra in un negozio di fiori poco distante. Dopo pochi minuti esce con in braccio un gran mazzo di margherite colorate avvolte in una carta azzurra e torna sui suoi passi: entra in Certosa. Appena superato l’ingresso inizia a percorrere tutto il cimitero senza una logica precisa: si sposta più volte tra la zona più antica e quella più nuova, entra ed esce dagli spazi chiusi. Il cimitero è praticamente deserto e faccio una gran fatica a seguirla senza farmi notare. Quando ha percorso praticamente ogni anfratto, torna all’entrata e ricomincia il giro dall’inizio. Questa volta però si ferma ogni tanto accanto a qualche tomba, si china e lascia una margherita. Appena si allontana controllo ogni tumulo dove si è fermata, accertandomi comunque di non perderla mai di vista; man mano che avanzo mi accorgo che non esiste alcun nesso logico tra una e l’altra sepoltura: ce ne sono di vecchie e di nuove, alcune versano in pessimo stato mentre altre sono perfettamente mantenute, ci sono bambini e vecchi, donne e uomini, nessuno ha nulla in comune con gli altri: non un nome o cognome, non un simbolo, non una data di nascita o di morte. Mille idee mi si affollano in testa, persino quella, assurda, che la donna sia una specie di serial killer colta dal rimorso. Finito di distribuire tutti i fiori la mia osservata speciale esce dal cimitero e si avvia verso il centro città. Troppo curiosa per mollare tutto continuo a seguirla. Arriviamo davanti al Duomo. Qui la signora si ferma di nuovo, si guarda attorno per alcuni minuti, sempre con le mani sui fianchi, come se cercasse qualcuno. Ad un tratto fa un grosso sospiro e si avvia verso un bar. Entra e si accomoda ad un tavolino. Mi siedo a pochi metri di distanza, facendo in modo di averla più o meno di fronte. Ordina una cioccolata calda e io faccio lo stesso. Per la prima volta sento la sua voce: è sottile sottile, perfettamente adeguata alla sua corporatura, e ha uno strano modo di arrotolare la erre. Dopo un po’ si sfila la mantellina e la sciarpa, che non mi ero accorta avesse perché dello stesso colore del maglione. Finalmente ho la possibilità di osservarla più da vicino: sul maglione porta una moltitudine di collane tutte diverse tra loro: con grossi ciondoli etnici, di perline o perle più grandi, ma tutte coloratissime. indossa anche orecchini della stessa fattura, con grandi pietre rosse che quasi si confondono tra i capelli. Mentre aspetta la cioccolata tira fuori dalla borsa un paio di ferri per la maglia con attaccato un lavoro già iniziato, di una sgargiante tonalità fucsia. Inizio a capire chi sia l’autrice dei suoi vestiti. Le osservo le mani mentre lavora: ha dita sottili e lunghe, indossa una smalto arancione acceso e molti anelli, uno e due per ogni dito, esclusi i pollici, tra i quali non riesco a distinguere una fede. Non porta orologio né bracciali. Mi fa pensare a quelle strane donne mezze streghe e mezze guaritrici di cui si legge a volte nelle favole. Dopo un po’ arriva la cioccolata ma lei continua a lavorare incurante, come fosse nel salotto di casa. Ogni tanto alza gli occhi e guarda fuori dalla vetrata del bar, osservando la piazza, e mi convinco sempre di più che stia aspettando qualcuno. Solo quando si volta verso di me mi rendo conto che probabilmente mi ero persa a fissarla con un po’ troppa insistenza. Mi affretto ad affondare il naso nella mia cioccolata ma faccio in tempo ad accorgermi del colore dei suoi occhi: avevo notato che erano molto chiari, azzurri, ma ora alla luce noto che possiedono una sfumatura violetta. Mi viene l’idea che indossi lenti a contatto per rendere ancora più estroso il suo aspetto e mi domando cosa la spinga a farlo e che lavoro possa condurre una persona dal look così particolare. La signora beve alcuni sorsi di cioccolata e poi si alza per andare al bancone a scegliere un dolce. Mi passa proprio accanto e io ne approfitto per cercare di cogliere il suo profumo, ma purtroppo riesco a sentire soltanto una leggera nota dolciastra. Prende la fetta di torta e torna al tavolo: ne mangia appena una punta e non finisce nemmeno la cioccolata; rimette nella borsa il lavoro ai ferri, si infila la mantellina e si avvia verso la cassa. Grazie alla mia posizione riesco a seguirla con occhi e orecchie semplicemente ruotando appena la sedia. Paga e lascia il resto come mancia alla cameriera. Una buona mancia a giudicare dall’espressione stupita della ragazza. Signora in buone condizioni economiche quindi, malgrado il suo abbigliamento fatto in casa e sicuramente non firmato. Si mette al centro della piazza in attesa, continuando a guardarsi attorno. Esco anch’io dal bar e mi siedo su un leone di pietra a poca distanza. Passano solo alcuni minuti quando dall’angolo della piazza arriva correndo un bambino di non più di tre anni, che sfoggia una massa di riccioli ramati e che si butta tra le braccia della mia pedinata urlando “NONNA” a squarciagola. Subito dietro ci sono i suoi giovanissimi genitori. La mamma ha i capelli rossi. La signora misteriosa si china a prendere il bambino in braccio con una gran sorriso. Ora so che quella donna è mamma e anche nonna malgrado la giovane età. Tuttavia, nonostante le due ore e mezza di pedinamento, non so ancora dire se sia una famosa ed estrosa stilista, una fotografa di grido o, magari, una strega delle fiabe.
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