Per lucem et tenebram transeunt vitae nostrae mortalis.

domenica 30 gennaio 2011

Questione di d-succhero...

In realtà vorrei essere più imprevedibile e parlare ogni volta di cose strane, raccontare novità incredibili e avventure mirabolanti e così via...purtroppo però al momento la mia vita è piuttosto monotona (capitemi, siamo in piena sessione d'esami) e la cosa più eccitante che riempie le mie giornate è il nuovo corso che sto frequentando all'università.

E' si ragazzi miei, questa cosa si sta rivelando davvero niente male!

All'ultima lezione (tralasciando il fatto che ci ho piantato una delle figure più di merda, passatemi il termine perché non ne potrei usare altri, che siamo mai state concepite) ho avuto la più grande soddisfazione che una scrittrice dilettante come me potrebbe avere: ho visto letto e direi anche interpretato, un mio testo! Wow!!!
bella roba, ti ecciti con poco, direte voi...ma se non avete mai scritto nulla non potete proprio capire che emozione dia sentire una propria creatura uscire dalla labbra di un'altra persona. Se poi il lettore in questione è un mostro di attore (onore al merito, rimango sconvolta dalla versatilità con cui riesce a passare da un ruolo all'altro e ad adattarsi perfettamente a tutti...altra cose che per un'attrice, come al solito dilettante, come me è una sorta di utopia...) la cosa dà un'emozione da tremarella.

E questo è il primo punto: dettaglio molto importante perché mi ha fatto pensare che dovrei ricominciare a mettere su carta e in modo serio tutte le idee che mi frullano per la testa.

La seconda notizia è che in questo corso cerchiamo di imparare un po' di sana fonetica (non dizione ma fonetica, altra scoperta) cioè il modo esatto di pronunciare
le vocali e le consonanti.
Prima cosa è stata scoprire che in fonetica esistono 7 vocali (ci sono infatti la é e la è oltre a una doppia o sempre con i due accenti diversi).
La seconda è stata che esistono due tipi di zeta: una zeta aspra che è il risultato di t+s (che per intenderci è quella di "piazza") e una zeta dolce che viene fuori mischiando d+s (zucchero, zio).

Premesso questo, la situazione che mi si è presentata tornado a casa è stato il confronto fonetica-mia nonna. Ora, mia nonna è di origini ferraresi. La zeta aspra lei non sa nemmeno cosa sia: non so se avete mai sentito un ferrarese dire piazza ma quello che viene fuori è più o meno questo: "piassssssssa". Quando ho cercato di spiegarle il suo fonetico errore (come diceva Einstein "non si ha veramente capito una cosa finché non si è in grado di spiegarlo alla propria nonna) la sua reazione è stata quella di mollarmi il tipico scappellotto da nonna: quella mezza sberletta con annesso pizzicotto sulla guancia che ti lascia un indelebile bollo rosso a vita. E il suo commento è stato "ma va là bela...".

E va beh...forse questa era complessa.

Secondo tentativo: Perché. Ora non so come lo diciate voi, ma la mia e di perché è aperta. Errore madornale. La e finale di perché è chiusissima. Ora, il professore ci ha detto che mano mano riceviamo le varie nozioni di fonetica noi dobbiamo metterle in pratica. Così, da un paio di giorni, malgrado la fatica abnorme che mi costa, cerco di pronunciare perché con la e chiusa. Personalmente, senza offesa per nessuno, mi fa schifo. Ma a mia nonna di più. Mi ha detto che sembro una "donnetta di piazza" con quella e chiusa (tradotto vorrebbe dire una comare impicciona).

Fallimento totale.

Ragionavo quindi sul fatto che il modo con cui pronunciamo determinate parole ha un'importanza incredibile. Nel senso che una semplice vocale aperta o chiusa a volte fa nascere nella testa degli altri un'idea, un preconcetto, che magari nulla ha a che fare con la persona in questione.
E' una cosa drammatica.
Per questo, ora più che mai, voglio proprio impararla sta benedetta fonetica. Almeno, nel caso qualcuno mi dia della "donnetta di piazza", potrò sempre ripararmi dietro la scusa dell'italiano perfetto.




giovedì 27 gennaio 2011

pedinamento...

Questo testo l'ho scritto per l'università. Occorre però premettere qualcosa, altrimenti si potrebbe pensare che io frequenti una facoltà di pazzi maniaci.

Prima premessa: quest'anno dovevo scegliere una materia facoltativa da aggiungere alle mie lezioni del secondo semestre, per completare quel buco di 6 crediti creato apposta dall'università per farci credere che abbiamo un minimo di libero arbitrio nella scelta della nostra vita accademica. (oggi ho il dente avvelenato contro l'università perché mi stanno palleggiando un appello da un paio di settimane e quando sembrava a posto me l'hanno anticipato di una settimana...)

Seconda premessa: la mia idea era quella di frequentare medicina legale perché il nome faceva figo o diritti umani nei conflitti armati perché era a sviluppo seminariale e, come tutti sanno, ciò significa esame facile.

Terza ed ultima premessa: Ho letto su un giornale un articolo secondo il quale lo studiare tanto sui libri senza dedicarsi a materie pratiche fa "perdere punti al cervello"; ora visto che non mi sembra il caso di rischiare volevo cambiare un po' il mio panorama di studi. E, poiché una mia cara amica mi ha appena detto che noi giuristi tendiamo ad essere noiosi (solito luogo comune) ho pensato: mi iscrivo al corso più assurdo che trovo! Nella mia facoltà a possedere queste caratteristiche è la materia chiamata "tecniche della comunicazione della persuasione", in pratica un corso di teatro, dizione, capacità espressive e via discorrendo. Le lezioni si fanno durante la sessione d'esame, anche il sabato, anche alla sera...più strano di così!Aggiungendo il fatto che io adoro recitare e questo corso mi dà la possibilità di migliorarmi sia nel teatro che nella normale vita di relazione ho detto "perché no?"

Il primo compito che il professore del corso ci ha affidato è stato quello di pedinare una persona e di scrivere un testo che la descrivesse e dove dovevamo cercare di capire, osservando più dettagli possibile, chi fosse questa persona, cosa facesse nella vita e via discorrendo...

Questo è quello che è venuto fuori a me e vorrei tanto sapere cosa ne pensate...

E’ una strana giornata di febbraio a Ferrara. Dico strana perché dopo parecchi giorni grigi e uggiosi il sole ha finalmente deciso di farsi rivedere e la città ha cambiato la sua faccia, risvegliandosi: la luce illumina le vie infilandosi in ogni fessura lasciata libera da cemento e mattoni e crea infiniti giochi sulle facciate dei palazzi. Tuttavia, malgrado il sole ritrovato, soffia un vento freddo che fa di tutto per abbassare la temperatura e ricordarmi che siamo ancora in pieno inverno, a dispetto del cielo limpido e di un azzurro intenso.

Ormai è quasi un’ora che mi aggiro per la città alla ricerca di qualcuno che attiri la mia attenzione, ma nessuno si è ancora rivelato sufficientemente interessante da meritare un pedinamento. Dopo aver percorso quasi tutte le vie, i vicoli e le piazze possibili, cercando di osservare tutte le persone che mi capitavano a tiro, inizio ad essere un po’ sfiduciata sulla possibilità di portare a termine il mio compito. Inconsciamente i miei passi mi riportano verso la facoltà, ma deviano prima di arrivarci: entro in parco Massari decisa a trovare una panchina per riposarmi un po’. Nel grande giardino l’aria odora di foglie marce e umidità, il vento dà un po’ di tregua e il sole accende il poco di verde che riesce a trovare, donando un po’ di vita anche alle piante spoglie. E’ in quel trionfo di marroni, grigi e verdi che il mio sguardo viene inaspettatamente attirato da una macchia di colore. A pochi metri da me una signora sta passeggiando con il naso all’insù. Mi dà le spalle e, prima che sparisca dietro un cespuglio, riesco a intravedere soltanto una folta massa di riccioli rossi e un insieme di abiti a dir poco singolari. Ho trovato chi fa per me.

La seguo immediatamente e riesco a raggiungerla dopo alcuni passi. Non cammina sui sentieri tracciati ma in mezzo all’erba, incurante del fango e della brina rimasta nei punti ancora all’ombra. Cammina lentamente con i piedi tenuti larghi, quasi dondolando, simile ad una papera. Ogni tanto si ferma assorta guardandosi attorno, con le mani sui fianchi, e fa un grosso sospiro. Ogni due o tre soste, sfodera dalla borsa di stoffa che porta a tracolla una macchina fotografica e fa due o tre scatti; controlla le foto e ricomincia a camminare. Incuriosita, voglio a tutti i costi vederla in viso. Cambio sentiero e con una corsetta le giro attorno e riesco a sbucarle quasi di fronte. Anche a distanza noto che ha forme slanciate e longilinee e intuisco i suoi tratti dolci, quasi da bambina. Non deve avere più di cinquant’anni, penso. Ha una pelle chiarissima, il viso magro e ovale, che quasi sparisce tra la massa dei riccioli. Studio il suo abbigliamento con maggiore attenzione: indossa un maglioncino arancione coperto quasi completamente da una mantellina marrone scuro, arricchita sul davanti da una serie di fiori e farfalle di lana cotta. Ai piedi indossa un paio di stivali di cuoio color cioccolato seminascosti da una lunga gonna blu, che le arriva alle caviglie, bordata con le stesse farfalle del corto mantello. Il suo abbigliamento mi fa subito pensare a qualcosa fatto a mano, artigianale. La seguo per tutto il parco mentre lei continua a scattare foto. Dopo una mezz’ora buona esce dal parco, gira l’angolo e si avvia per la strada che porta in Certosa. Supera il cancello del cimitero ed entra in un negozio di fiori poco distante. Dopo pochi minuti esce con in braccio un gran mazzo di margherite colorate avvolte in una carta azzurra e torna sui suoi passi: entra in Certosa. Appena superato l’ingresso inizia a percorrere tutto il cimitero senza una logica precisa: si sposta più volte tra la zona più antica e quella più nuova, entra ed esce dagli spazi chiusi. Il cimitero è praticamente deserto e faccio una gran fatica a seguirla senza farmi notare. Quando ha percorso praticamente ogni anfratto, torna all’entrata e ricomincia il giro dall’inizio. Questa volta però si ferma ogni tanto accanto a qualche tomba, si china e lascia una margherita. Appena si allontana controllo ogni tumulo dove si è fermata, accertandomi comunque di non perderla mai di vista; man mano che avanzo mi accorgo che non esiste alcun nesso logico tra una e l’altra sepoltura: ce ne sono di vecchie e di nuove, alcune versano in pessimo stato mentre altre sono perfettamente mantenute, ci sono bambini e vecchi, donne e uomini, nessuno ha nulla in comune con gli altri: non un nome o cognome, non un simbolo, non una data di nascita o di morte. Mille idee mi si affollano in testa, persino quella, assurda, che la donna sia una specie di serial killer colta dal rimorso. Finito di distribuire tutti i fiori la mia osservata speciale esce dal cimitero e si avvia verso il centro città. Troppo curiosa per mollare tutto continuo a seguirla. Arriviamo davanti al Duomo. Qui la signora si ferma di nuovo, si guarda attorno per alcuni minuti, sempre con le mani sui fianchi, come se cercasse qualcuno. Ad un tratto fa un grosso sospiro e si avvia verso un bar. Entra e si accomoda ad un tavolino. Mi siedo a pochi metri di distanza, facendo in modo di averla più o meno di fronte. Ordina una cioccolata calda e io faccio lo stesso. Per la prima volta sento la sua voce: è sottile sottile, perfettamente adeguata alla sua corporatura, e ha uno strano modo di arrotolare la erre. Dopo un po’ si sfila la mantellina e la sciarpa, che non mi ero accorta avesse perché dello stesso colore del maglione. Finalmente ho la possibilità di osservarla più da vicino: sul maglione porta una moltitudine di collane tutte diverse tra loro: con grossi ciondoli etnici, di perline o perle più grandi, ma tutte coloratissime. indossa anche orecchini della stessa fattura, con grandi pietre rosse che quasi si confondono tra i capelli. Mentre aspetta la cioccolata tira fuori dalla borsa un paio di ferri per la maglia con attaccato un lavoro già iniziato, di una sgargiante tonalità fucsia. Inizio a capire chi sia l’autrice dei suoi vestiti. Le osservo le mani mentre lavora: ha dita sottili e lunghe, indossa una smalto arancione acceso e molti anelli, uno e due per ogni dito, esclusi i pollici, tra i quali non riesco a distinguere una fede. Non porta orologio né bracciali. Mi fa pensare a quelle strane donne mezze streghe e mezze guaritrici di cui si legge a volte nelle favole. Dopo un po’ arriva la cioccolata ma lei continua a lavorare incurante, come fosse nel salotto di casa. Ogni tanto alza gli occhi e guarda fuori dalla vetrata del bar, osservando la piazza, e mi convinco sempre di più che stia aspettando qualcuno. Solo quando si volta verso di me mi rendo conto che probabilmente mi ero persa a fissarla con un po’ troppa insistenza. Mi affretto ad affondare il naso nella mia cioccolata ma faccio in tempo ad accorgermi del colore dei suoi occhi: avevo notato che erano molto chiari, azzurri, ma ora alla luce noto che possiedono una sfumatura violetta. Mi viene l’idea che indossi lenti a contatto per rendere ancora più estroso il suo aspetto e mi domando cosa la spinga a farlo e che lavoro possa condurre una persona dal look così particolare. La signora beve alcuni sorsi di cioccolata e poi si alza per andare al bancone a scegliere un dolce. Mi passa proprio accanto e io ne approfitto per cercare di cogliere il suo profumo, ma purtroppo riesco a sentire soltanto una leggera nota dolciastra. Prende la fetta di torta e torna al tavolo: ne mangia appena una punta e non finisce nemmeno la cioccolata; rimette nella borsa il lavoro ai ferri, si infila la mantellina e si avvia verso la cassa. Grazie alla mia posizione riesco a seguirla con occhi e orecchie semplicemente ruotando appena la sedia. Paga e lascia il resto come mancia alla cameriera. Una buona mancia a giudicare dall’espressione stupita della ragazza. Signora in buone condizioni economiche quindi, malgrado il suo abbigliamento fatto in casa e sicuramente non firmato. Si mette al centro della piazza in attesa, continuando a guardarsi attorno. Esco anch’io dal bar e mi siedo su un leone di pietra a poca distanza. Passano solo alcuni minuti quando dall’angolo della piazza arriva correndo un bambino di non più di tre anni, che sfoggia una massa di riccioli ramati e che si butta tra le braccia della mia pedinata urlando “NONNA” a squarciagola. Subito dietro ci sono i suoi giovanissimi genitori. La mamma ha i capelli rossi. La signora misteriosa si china a prendere il bambino in braccio con una gran sorriso. Ora so che quella donna è mamma e anche nonna malgrado la giovane età. Tuttavia, nonostante le due ore e mezza di pedinamento, non so ancora dire se sia una famosa ed estrosa stilista, una fotografa di grido o, magari, una strega delle fiabe.

lunedì 24 gennaio 2011

Quando non si ha voglia di far nulla...

Avete presente quando non si ha voglia di far nulla???Ma proprio niente di niente??

In genere accade in quei giorni in cui di cose ce ne sono da fare una montagna, nel mio caso: studiare, prendere il treno per andare a Ferrara, finire di fare la borsa e installare il nuovo modem (a proposito adesso ho anche io il wireless!). Invece io oggi me ne starei sdraiata a letto, con le coperte tirate fino alle orecchie ma non per dormire; me ne starei ad ascoltare il rumore della pioggia che batte sui vetri, ad annusare il profumo delle lenzuola pulite e a crogiolarmi nel calduccio che si crea sotto il piumone...magari potrei persino inventare una nuova storia!

E invece è un lusso che oggi proprio non posso concedermi.

Così mi sfogo per alcuni minuti qui, gettando al vento le mie piccole e quotidiane frustrazioni almeno per un po'...

Sarà che il tempo fuori non aiuta a sentirsi di ottimo umore, oppure il fatto che stanotte è stato proprio un incubo.
Non so se avete mai fatto caso al fatto che se alla sera non ci si addormenta subito la notte è in grado di produrre i suoni più assurdi possibili.
Ora, io non mi ritengo una che a paura del buio, anzi, a me il buio piace da impazzire e in certi casi per snebbiarsi la mente non c'è nulla di meglio che chiudersi in una stanza buia e silenziosa a pensare un po'.
Tuttavia se c'è una cosa che mi terrorizza sono tutti quei rumoretti che mi tormentano la notte quando non riesco a dormire. Probabilmente questo è dovuto al fatto che io ho (letteralmente) la fobia che qualche ladro, pazzoide, omicida seriale possa entrare in casa mentre dormo.

Beh, stanotte il vento, le imposte di legno, la tenda parasole e la mia mente hanno dato il meglio di loro stesse: avevo la netta sensazione che qualcosa tentasse di entrare in camera mia grattando ostinatamente sulla persiana...cosa che a ripensarci con la luce del sole mi fa ridere di me stessa ma che stanotte mi ha tenuta sveglia fino alle 2 e mezza.

Ora gli amici che mi consigliano di leggere la sera thiller o gialli capiranno meglio il motivo del mio diniego.

Il fatto è che ognuno ha le sue paure e non ci può fare nulla. Non sopporto le persone che prendono in giro gli altri per le lorofobie: ci sono cose che ad alcuni possono sembrare banali ma che per altri sono veri e propri incubi.

Parlo di questo a pieno titolo perché tra le mie fobie, oltre i ladri, guadagnano il podio pesci morti, feriti o moribondi, frati (non tutti, solo quelli bianchi e neri stile inquisizione) e il rumore che fa il cotone idrofilo quando viene strappato.
E su quest'ultima cosa vorrei fare una precisazione: il cotone idrofilo (per intendersi quello bianco e lanuggioso) quando viene diviso in batuffolini più piccoli fa rumore, checché ne possa dire la maggior parte dei comuni mortali, e quel sibilo orrendo a me fa venire un brivido lungo la schiena pari, forse, a quello che potrebbe prendermi se mi versassero in testa un secchio di ghiaccio.
Per quanto riguarda i pesci morti o moribondi credo che la mia innata paura derivi da traumi della mia infanzia, una cosa tipo obbligo di andare a pesca con i cuginetti per vedere agonizzare un pesce. O forse da quando ho visto il mio pesciolino rosso finire dentro la tazza della camomilla (e anche qui ci sarebbe da raccontare).
E la questione dei frati ho la netta sensazione derivi da una vita precedente in cui devo essere morta sul rogo o cose simili...

Per tutti questi motivi sono sempre stata molto restia a prendere i giro le persone che hanno paura di farfalle, gatti rossi, lampade di lava, serpenti dei cartoni animati e così discorrendo (queste fobie appartengono tutte a persone che conosco, quindi non c'è nulla di inventato.)

e voi, di cosa avete paura?

giovedì 20 gennaio 2011

dolori e biciclette...

Questa non posso non raccontarla...

Tutto è accaduto quest'oggi: me ne andavo tranquilla sulla mia bicicletta arancione (dovete sapere infatti che Ferrara è città di biciclette ma anche di ladri di biciclette. Dopo essermi vista rubare una ruota e il manubrio, ho dipinto la mia creatura di un bel arancione fosforescente, colore che non passa inosservato ma che l'ha resa così appariscente e anche bruttarella che nessuno si avvicina più) lungo Borgo dei Leoni non contromano, cosa che sottolineo perchè di solito non avviene, visto che la via in questione è la strada più breve tra la mia facoltà e casa, sia in un senso che nell'altro ovviamente, ma, ahimé, per sua natura è un senso unico.

Comunque, biciclettavo indifferente cercando di ignorare il vento artico che spazzava la città quando ad un tratto mi si para davanti un mostro orribile: una vigilessa armata di fischietto con paletta spianata. Impreco e contemporaneamente faccio rapidamente mente locale su cosa volesse da me la signora in questione. Non mi viene in mente nulla. Sicura della mia innocenza freno a pochi centimetri (non era voluto, i freni lasciano a desiderare) dalla vigilessa che mi fissa con sorriso sadico. Io sorrido, probabilmente con aria ebete visto che avevo metà della faccia paralizzata dal freddo. Lei inizia a parlare con una voce mista ad ultrasuoni, cosa che alle otto di mattina mi infadisce parecchio, e così ha inizio questa graziosa scenetta.
VIGILESSA:"Lei non stava rispettando le misure di sicurezza"
IO: (faccia allibita) mi guardo attorno per capire di che distanza stesse parlando.
VIGILESSA:"non se ne è accorta?"
IO: (faccia sempre più allibita) cerco in giro macchine, camion, furgoni che mi precedessero o mi seguissero, vecchiette armate di ombrello, draghi, spiriti maligni, pozzi magici...nulla!mi rivolgo alla vigilessa inarcando di mezzo millimetro il sopracciglio "non c'è nessuno in strada" oso dire.
V: hahahahahahahahahahahahah (risata che dice: quanto sei ingenua) la distanza di sicurezza dalle automobili parcheggiate.
IO: (occhi giganti, naso congelato che stava per staccarsi e bocca spalancata) "COSA?"
V: "la distanza di sicurezza dalle automobili parcheggiate è di 50cm!" mi ripete lei con aria soddisfatta.
nella mia mente a questo punto si accavallano i seguenti pensieri:
- sono le 8.13 della mattina, non hai nulla di meglio da fare?
-perchè deve esistere una misura di sicurezza dai veicoli fermi?dove sta il pericolo?
-dovrei quindi girare con una riga attaccata al manubrio della bici?
-perchè a me?

e a questo punto mi ritrovavo ad essere un po' alterata...

IO: mi scusi, ma la strada è larga un metro e mezzo, se io sto a 50cm dalle auto tutte le altre macchine dove passano??
V: (per la serie se gli sguardi potessero uccidere) stanno dietro di lei ovviamente!
IO:ovviamente...(faccia scettica)

come se le macchine stessero ad aspettare me!!!!!mi prendo tante di quelle strombazzate che ci arrivo sorda in facoltà!!!

V: mi prende in giro?
IO: non sia mai...

a questo punto è partita una predica fotonica sul fatto che i giovano non rispettano le regole, che i vigili sono presi in giro da tutti e così via...
Faccio notare che nel frattempo dietro le spalle della vigilessa stavano passando qualcosa come dieci bici in senso contrario, una zebra, un UFO e due acrobati del circo...

IO: posso andare?
V: dovrei farle multa...
IO: COSA? (che poi il termine corretto è contravvenzione ma ho ritenuto non opportuno farglielo notare)
V: eh si...
IO:sguardo omicida
V: però per questa volta lasciamo andare...si ricordi le distanze di sicurezza!
IO: certo!

come no?!?

credevo che le mie disavventure biciclettistiche fossero finite lì...NO!!!!!
Arrivo in facoltà, faccio quello che dovevo fare, riprendo la mia bici. Sono ormai le undici e mezza. Mi avvio verso casa.
Sto percorrendo Via Scienze e mi distraggo un attimo a guardare una signora che porta in giro del pelo (non era un cane...era solo pelo) quando improvvisamente "SBAM!!!!". Un tonfo. Un attimo di buio. Un dolore lancinate al fianco.
Altre imprecazioni. Appena il mio cervello smette di farmi notare che la disattenzione fa male, cerco di capire cosa sia successo. La scena che mi presenta fra le lacrime è questa: io in bilico su un piede solo, con una spalla appoggiata al muro, il manubrio di una bicicletta sconosciuta piantato nel mio fianco e una vecchietta dall'aria allucinata che mi fissa con occhi sbarrati.

VECCHIETTA: "non si è fatta male vero?"
IO: (no no...lo faccio per sport si figuri... ) la guardo con occhi sgranati, cercando di non piegarmi in due dal male e provo a parlare; il risulatato è un patetico uggiolio da animale soffocato...
faccio di no con la testa, sperando che lei capisca si.
V: ah, mano male!mi è venuta addosso e non volevo che si fosse fatta anche male!
IO: (desiderando ardentemente possedere uno spadone a due mani) la guardo allibita e, provo a convincere i miei polmoni respirare correttamente. Finalmente sussurro "non le sono venuta addosso io!Lei veniva contromano"
V: ma per la strada che stava facendo lei di solito non viene nessuno, quindi ormai il senso unico non vale più.

E qui io mi sono arresa.Mi sono raddrizzata come potevo e ho arrancato fino a casa.

Il risultato di questa giornata è un grazioso livido dalla forma affascinante sulle mie costole e un fastidio profondo nei confronti di sensi unici, auto parcheggiate e vecchiette.




venerdì 14 gennaio 2011

leggendo e scrivendo qua e là...

Oggi mi sono concessa, dopo le fatiche del diritto penale, un giorno di meritata vacanza: parrucchiere, manicure e...libri!

Libro da leggere, racconto da scrivere!

Partiamo dalla lettura: in questo periodo sto leggendo un romanzo a mio avviso decisamente ben fatto che porta l'affascinante titolo di "Gens Arcana", dell' italianissima Cecilia Randall. Lo definirei un fantasy-storico ( i miei preferiti) tra i migliori che ho letto: perfetta ricostruzione della Firenze di Lorenzo il Magnifico, personaggi molto umani ma allo stesso tempo affascinantissimi, bella trama(unica pecca:è un pelo prevedibile in alcuni punti) e tanti dettagli di alchimia, filosofia e storia...nel complesso un ottimo romanzo voluminoso (620 pagine) e autoconclusivo.

L'autrice mi era già nota per la saga "Hyperversum" (latinissimo anche questo titolo) la cui trama non mi aveva convinto fino in fondo e che non ho mai iniziato a leggere, ma che di certo adesso potrei rivalutare con più attenzione!

Questo è il sito ufficiale della prima serie di romanzi http://www.hyperversum.it/. Purtroppo di Gens Arcana non credo esista ancora una cosa del genere, ma ho dato un'occhiata a questo e non è fatto per niente male!

Altra piccola curiosità e poi cambio argomento: la copertina e le altre illustazioni contenute nel romanzo della Randall sono tutte opera di Paolo Barbieri, illustatore di Licia Troisi. Se ne riconosce lo stile già dalla copertina ma i quattro elementali rappresentati all'interno sono decisamente degni di nota!

Ora passo alla scrittura!Oggi ho pensato di riportare alla luce le favole che avevo scritto ormai 5 anni fa, le ho rilette (in parte perchè ero davvero produttiva in quel periodo e ce ne sono a decine) e mi è proprio venuta voglia non solo di rimmettere a posto le vecchie ma di scriverne di nuove; ora, sicuramente non potrò concedermi tutto il tempo che avevo una volta ma forse riesco a far venire fuori qualcosa di interessante...








lunedì 10 gennaio 2011

Ritorno di fiamma...

Si chiama così no?

Quando ero negli scout e ci ritrovavamo la sera a dover accendere il fuoco per farci da magiare (e anche per togliersi di dosso quel gelo appiccicoso che non si riesce a comprendere pienamente finché non si passauna notte all'aria aperta...), dopo una mezz'ora passata nel bosco a cercare legna e non aver trovato altro una bracciata di ramoscelli umidi, era tanta la tentazione di spruzzare sulla fiamma nascente e fumosa una qualsiasi sostanza infiammabile, deodorante in primis, per farle prendere un po' di vita! Ma i capi avvertivano: mai mai mai fare una cosa del genere!!si rischia un ritorno di fiamma!

Il ritorno di fiamma non è altro che un fuoco che stuzzicato poi prende il sopravvento (tralasciando tutti i risultati di gossip che mi sono saltati fuori da google...).

Oggi credo di aver avuto il mio personalissimo ritorno di fiamma.

Il mio inaspettato combustibile è stato qualcuno che in queste righe mi permetto di definire un vecchio amico. Da due anni avevo abbandonato questo mio piccolo palcoscenico sul mondo e adesso che me ne sono resa conto, la cosa mi infastidisce molto.
A me capita qualche volta, quando scrivo una storia o un racconto, di lasciare, per motivi di forza maggiore, un mio personaggio nel bel mezzo di una situazione spinosa o ad un passo dalla fine o di abbandonarlo subito dopo l'inzio. Beh, quando succede è come se per il resto della giornata mi covasse in petto una brace smorzata, che se ne sta lì e non brucia così tanto da far male ma crea un sordo prurito che non smette fino a quando non riprendo in mano il racconto e lo porto a termine.
Quando ho iniziato a scrivere qui e poi me ne sono andata la brace ha bruciato per un po' ma poi si nascosta sotto la cenere; forse perchè non avevo nessuna delle mie "creature" a chiedermi di prestargli attenzione.

Stasera, dopo tanto tempo , ho ritrovato il mio prezioso compagno di chiaccherate che mi ha fatto leggere il suo di blog (ancora complimenti tra l'altro...anche per la storia dei numerini del latte!) e SWOSSSSSHHHH....una fiammata!!
Che bellezza poter ritornare a scrivere!che voglia di condividere, con tutti quelli che capiteranno qui in sorte, i miei pensieri, le notizie che mi capitano sotto mano, i miei racconti e chissà cos'altro!

Riaccendiamo la candela?